Test sugli animali a scopo cosmetico, qualche delucidazione

Lo so, l’ultimo articolo su questo blog risale alla fine di febbraio, e ora siamo a fine maggio. Non ditemi nulla. Semplicemente ho pensato che dato che Guida Galattica per Vegetariani staccherà comunque la spina alla fine di giugno (pensavo fosse luglio, e invece no), non valeva la pena affannarsi e scapicollarsi per trovare nuovi contenuti da postare, che tanto poi sarebbero finiti alle ortiche. Chiamiamolo nichilismo.

A parte questo piccolo dettaglio, ho comunque creduto utile proporvi delle piccole delucidazioni per quanto riguarda la questione dei test sugli animali a scopo cosmetico. Ne avevo già parlato qui, ma non mi ero addentrata nei dettagli, un po’ perché davo per scontato che tutti sapessero come stessero le cose, un po’ perché io stessa non conoscevo i retroscena.
Oggi, per lavoro, ho dovuto scrivere del cruelty-free (in inglese), e ne è uscito un articolo interessante, che mi ha fatto scoprire particolari che ignoravo. Perciò vorrei rendere partecipi anche voi, perché è vero che il mondo là fuori è pieno di gente iper-informata, ma ci saranno anche tanti altri individui che non conoscono proprio tutto, ed è cosa buona e giusta aiutarli a illuminarli là dove sia possibile.

Torniamo indietro nel 2013, precisamente all’11 marzo. Come riportavo nell’articolo sopra linkato, questa data ha rappresentato una grande vittoria per l’Unione Europea, poiché quel giorno i test sugli animali a scopo cosmetico sono stati banditi in modo definitivo da tutti i paesi facenti parte dell’Unione.
Questa è la notizia “basic” che è circolata allora, che è ben nota oggi, e che molti negozi, come The Body Shop, avevano festeggiato con gran trasporto. Che poi The Body Shop appartenga a L’Oreal, quello è un altro paio di maniche. Sorvoliamo.

Il fatto è che questa è una notizia sensazionale fino a un certo punto, perché dietro questo ban - di cui andremo a vedere in dettaglio i punti - in realtà ce n’erano già due attivi, uno risalente al 2004, e uno del 2009.

Il ban dell’11 settembre 2004 proibiva i test sugli animali in relazione al prodotto finito, mentre quello dell’11 marzo 2009 era contro i test degli ingredienti, singoli o combinati.
Nonostante queste regolamentazioni, però, il problema dei test sugli animali persisteva, poiché i ban venivano aggirati con grande abilità. Prima del 2004, infatti, le aziende che dichiaravano sulle proprie etichette “prodotto finito non testato sugli animali“, in realtà conducevano i test sui singoli ingredienti. Ma anche dopo il ban del 2009 non è che si potesse cantare vittoria, dato che anche i marchi che riportavano “prodotto non testato sugli animali” erano tecnicamente nel giusto, poiché non erano loro a testare gli ingredienti, ma terze parti residenti in altri paesi del mondo, non soggetti quindi alle norme dell’UE.

E voi mi direte: beh, e cosa cambia? Aggireranno anche il ban del 2013 nello stesso modo. E qui casca l’asino. Non che il ban non possa essere comunque aggirato (vedremo come), ma rispetto ai due predecessori il divieto imposto nel 2013 comporta più restrizioni. Vediamo quali.

- Divieto di test su animali sia del prodotto finito che degli ingredienti, singoli o combinati, per scopo cosmetico
- Divieto di immettere sul mercato all’interno dell’Unione Europea prodotti finiti testati su animali, o prodotti i cui ingredienti, singoli o combinati, siano stati testati sugli animali
- Le aziende che metteranno sul mercato all’interno della UE prodotti per i quali siano stati commissionati test su animali a terze parti, verranno sanzionati pesantemente.

Sembra tutto molto bello, e di fatto lo è anche. Il problema riguarda la parte che ho sottolineato nel primo divieto. “Per scopo cosmetico”.
Prima di spiegarvi in cosa consiste questo cavillo a cui diversi brand si aggrappano, ringrazio la mia amica Glenda di It’s Healthylicious per avermi fornito spiegazioni, trovate qui l’articolo che lei stessa mi ha linkato.

Il ban del 2013, infatti, pone il divieto di test sugli animali per quanto riguarda prodotti finiti e ingredienti che siano utilizzati a scopo cosmetico. Se però la crema idratante Vattelappesca contiene uno o più ingredienti che, per esempio, sono solitamente usati a scopo medico (e quindi sono stati precedentemente testati), il prodotto allora non è cruelty-free, anche se all’interno dell’Unione Europea. Ahimè. Per questo una cosa che consiglio di fare è di controllare sempre le etichette e di andare in cerca del coniglietto che salta o di qualsiasi altro logo che certifichi il prodotto come cruelty-free.

Apriamo anche un’altra parentesi. Molti pensano che cruelty-free equivalga a vegan-friendly, ma c’è un errore, quasi sempre commesso in buona fede. Il fatto che un prodotto cosmetico non sia testato è sicuramente cosa buona e giusta, il punto è che se in quel prodotto è presente del miele ad esempio, allora non è vegan. La stessa cosa vale per cera o veleno d’api, seta e proteine della seta, lanolina, latte d’asina e via dicendo. Significa che il produttore non è cruelty-free? No.
Se pensate a Lush, che è dalla notte dei tempi che lotta contro i test sugli animali, vi verrà facile capire come una cosa non escluda l’altra. Diversi prodotti di questo marchio, infatti, non sono vegani perché contengono miele equosolidale, ma certo questo dettaglio non rende Lush non cruelty-free.

Insomma, come capirete anche voi il percorso del cruelty-free è ancora lungo e contorto, tanto più che la maggior parte delle marche da supermercato conduce i test senza sosta alcuna. La cosa peggiore è che per quanto tentiamo di evitare L’Oreal, poi ce la ritroviamo come proprietaria di The Body Shop, Bare Escentuals o NYX, tutte compagnie che di loro non testano, ma che fanno capo al colosso francese, a cui va comunque una parte dei nostri soldi quando compriamo i prodotti di queste marche. Che disgrazia!

Bene, spero che questo articolo vi sia stato utile e… beh, non so quante altre “prossime” ci saranno!

Fonte: https://ec.europa.eu/growth/sectors/cosmetics/animal-testing_it