Allora ragazzi, siamo arrivati al magico momento delle chiarificazioni. Anzi, DELLA chiarificazione, quella delucidazione senza la quale molti continuerebbero a brancolare nel buio e a rompere l’anima al vegan-prossimo. Ma prendiamola larga, e partiamo da uno dei tanti episodi che mi sono successi personalmente.
Sono all’aeroporto, in procinto di prendere l’aereo per tornare in Scozia. Passato il controllo dei passaporti, mi ritrovo nel nulla più assoluto; l’unico baluardo che testimoni la presenza di esseri umani nei dintorni è un bar, uno di quelli che vendono panini e snack italiani introvabili all’estero.
Mi avvicino al bancone timorosa, pensando “magari qualche santo mi assiste e trovo un panino vegan”, e cosa accade? Lo trovo. E non è nemmeno a base delle solite verdure grigliate, il che ha del miracoloso. La signora che presiede bancone e cassa lo preleva dalla vetrina e me lo scalda, però mi informa con timido disagio che “il pane non è integrale, non so se va bene lo stesso…”. Io rispondo “certo che va bene”, così lei mi spiega come sia convinta che i vegani mangino solo cibo integrale, senza zucchero, senza sale e senza “robaccia”. Convinzione, questa, rafforzata da una cena di qualche settimana prima con una commensale vegan, che aveva fatto le pulci a tutti gli altri invitati in merito al vino e al pane in tavola. Sorvolando sulla storia del vino (che contiene qualche verità), le spiego con pazienza che no, “vegan” non significa “salutista”, e che non esiste solo un tipo di vegano.
Come ho già spiegato nel post sui tipi di vegani esistenti, non siamo tutti vegan allo stesso modo. Ergo, “vegan” non fa rima con “salutista”, e non solo in senso letterale.
Certo, se si riesce a coniugare la scelta etica con una maggiore attenzione verso gli ingredienti, non può essere che fantastico. Ma non sempre ciò è possibile, vuoi per un fattore di praticità, vuoi per un fattore puramente economico, di tempo, vuoi per la locazione geografica, o più semplicemente perché non si ha voglia di prestare attenzione a tutto (ci può stare). Magari fa male ammetterlo, ma è così.
Oltre all’immensa ignoranza che ancora dilaga quando si parla di vegani e veganesimo, si aggiunge quindi una certa confusione, ancora una volta causata dai media, primo fra tutti la televisione.
Ho capito che si vuol promuovere il veganesimo non solo come scelta etica, ma anche come dieta che può giovare alla salute, ma questo non è il motivo principale per cui i “vegani-vegani”, quelli che hanno iniziato per gli animali, sono diventati tali. Purtroppo, però, non si fa che inciampare in programmi, documentari e rubriche che, soprattutto in televisione, fanno leva sulla questione “salute”, generando il non sempre corretto binomio “veganismo = salutismo”.
Il risultato di questo passaggio di informazioni è una masnada di individui ossessionati dalle etichette e dagli ingredienti, che non appena pescano qualche vegano nel cui cibo si trova del sale o della farina bianca, ripristinano la Santa Inquisizione, e dopo averlo frustato a sangue, lo bruciano vivo sul rogo (e parlo per esperienza personale).
Queste persone, però, sono dimentiche del fatto che il “vegano standard” - passatemi il termine - non è ossessionato dall’integrale, dal bio, dall’olio di palma (purché arrivi da colture etiche), dal sale e dallo zucchero. Ripeto (e mi raccomando, state con me in questo ragionamento), qualora fosse possibile abbinare con facilità l’etica a ingredienti bio di prim’ordine, sarebbe formidabile. Ma non tutti hanno la possibilità o la voglia di farlo. Quindi per il “vegano standard”, fintanto che un prodotto e i suoi ingredienti sono cruelty free, è ok, soprattutto se ci si trova in situazioni limite in cui la scelta è o morire di fame per 12 ore, o addentare un pacchetto di cracker contenenti oli vegetali non specificati.
Niente spargimenti di sangue, niente diffamazioni pubbliche, niente patibolo: al “vegano standard” sta bene questo.
Chi persegue il veganesimo per salute non è propriamente vegan (e non vuole nemmeno essere definito tale), è piuttosto dedito a quella che viene chiamata “dieta vegetale-integrale“.
Il “vegano standard” è un vegano di serie b? Probabile, ma ci sono tanti “vegani per salute” là fuori che magari stanno attenti al baccello bio colto dai tibetani in cima all’Himalaya in un giorno di sole, ma sfoggiano cinture, borse e scarpe di pelle. E a quel punto anche i “vegani standard” avrebbero qualcosa da dire al riguardo. E per inciso, cosa dovrebbe essere peggio, la pelle di una mucca uccisa per dei calzari alla moda, o la farina bianca contenuta nei suddetti cracker? Ai posteri l’ardua sentenza.
Io credo che ognuno sia libero di mangiare nel rispetto della propria etica e delle sue priorità, senza avere l'”ansia alimentare” a tutti i costi. Anche perché la vita è lunga, e i cambiamenti sono sempre dietro l’angolo!
Detto ciò, ditemi cosa ne pensate voi di questa faccenda. E basta eccitarvi davanti al poster di Marco Bianchi nella vostra stanza, che Marco mi mangia il pesce.
Alla prossima!