Di recente ci siamo occupati dell’olio di palma in chiave puramente nutrizionale.
Come ho scritto nel relativo articolo, infatti, l’olio di palma è uno di quegli spauracchi alimentari per cui le persone sudano freddo quando se lo trovano davanti, probabilmente pensando che, se ingerito, di lì a poco moriranno, ignorando che invece fino a quel momento se lo sono trovate inconsapevolmente dappertutto (e sono sopravvissute).
Il post ha quindi voluto spezzare una lancia a favore di questo ingrediente (trattato solo e soltanto nella sua accezione di ingrediente), mettendone in luce le caratteristiche per cercare di far capire che, anche se non è la scelta migliore in assoluto, non è neppure quella che ci condurrà dritti alla tomba.
Come avevo specificato, però, questo discorso riguarda quasi esclusivamente i salutisti, o comunque chi cerca di fare acquisti coscienziosi rispetto alla propria salute (e quella della propria famiglia), perché i vegetariani, i vegani, gli ambientalisti e chiunque abbia un minimo a cuore la sorte degli animali e del pianeta, hanno motivazioni di ben altro stampo per scegliere di boicottare l’olio di palma. Si parla di etica.
Ho preferito dividere l’aspetto nutrizionale da quello etico, perché, altrimenti, il risultato sarebbe stato un articolo di proporzioni epiche, e per quanto l’argomento sia popolare, è sempre difficile che un articolo lungo sia letto fino in fondo. Oltre a ciò, l’ho fatto perché mi piace concedere ai lettori la possibilità di scegliere. A certe persone interessa solo l’aspetto salutistico, quindi se l’olio di palma non le uccide, pazienza se qualche foresta viene abbattuta in favore dei toast la mattina. Ad altre, invece, interessa più l’aspetto etico, e quindi al diavolo le criticità nutrizionali (io sono in questa categoria). Insomma, viva la democrazia.
L’olio di palma, com’è noto, è il grasso vegetale più usato al mondo. Lo abbiamo detto nell’articolo precedente, viene scelto soprattutto perché poco costoso, e quindi le aziende, grandi o piccole che siano, se ne servono perché, si sa, il risparmio è sempre l’imperativo che si cela dietro la maggior parte delle scelte quando si ha un business da far girare.
Il fatto che però l’olio di palma sia l’olio vegetale più gettonato a livello mondiale, porta con sé delle inevitabili conseguenze ambientali, purtroppo altamente spiacevoli. Sappiamo tutti che quando un prodotto è molto richiesto (come nel caso della carne), i metodi per produrne quantità industriali che coprano il fabbisogno globale, finiscono col diventare non solo poco etici, ma anche crudeli, a volte perfino illegali.
Data l’elevatissima domanda di olio di palma, le industrie che si occupano della sua coltivazione, nel corso degli anni, si sono dovute ingegnare per ottenere dei risultati, per così dire, “performanti”. La naturale conseguenza è stata la deforestazione di intere aree verdi di vitale importanza (per il pianeta e per gli animali, incluso l’uomo), aree che sono state poi dedicate alla monocoltura delle palme da olio. Fra le zone “violentate” a questo scopo, rientrano, tra le altre, la foresta pluviale in Amazzonia, l’Indonesia e il Borneo.
Qualcuno ha mai sentito parlare di “polmone verde della terra“? Forse no, e adesso facciamo un bel ripasso di scienze, così ci rinfreschiamo la memoria.
Spero di non dover essere io a rivelarvi che le riserve di ossigeno che abbiamo sul pianeta ci derivano dal preziosissimo lavoro che compiono le piante, che assorbono anidride carbonica, rilasciando ossigeno. L’ossigeno, nel caso in cui sfugga a qualcuno, è quello che ci serve per respirare.
Ebbene, le foreste pluviali ricoprono il 7% del pianeta. La più famosa e vasta fra queste foreste è quella amazzonica, che da sola fornisce la fetta più consistente dell’ossigeno che respiriamo. Oltre a questo, è bene sottolineare come le foreste pluviali ospitino il 50% di specie di animali e piante presenti sul nostro pianeta.
Quando queste zone sono state rase al suolo per far posto alla coltivazione di palme da olio (e anche per favorire gli allevamenti intensivi), è successo il caos, per due motivi:
- la deforestazione (attuata peraltro per mezzo di vasti incendi, quindi altra anidride carbonica!) porta alla drastica diminuzione delle riserve di ossigeno sul pianeta, e favorisce invece l’aumento di anidride carbonica, diretta responsabile del surriscaldamento globale (a causa del quale, ad esempio, si sciolgono i ghiacciai, il livello del mare si innalza, gli orsi polari muoiono… giusto per fare tre esempi);
- gli animali che fanno degli alberi e della vegetazione la propria casa, come ad esempio scimmie, uccelli e insetti, sono costretti a “sloggiare” con metodi non proprio amorevoli; si arriva così a violenze, pestaggi, uccisioni vere e proprie (molti di questi animali bruciano assieme alle foreste). Quante volte abbiamo visto le foto (veritiere) di scimpanzé o di oranghi insanguinati a causa delle colture dell’olio di palma?
Oltre a queste due motivazioni (le più famose e popolari), si aggiunge anche lo sfruttamento dei lavoratori, quindi si può dire che non ci facciamo mancare nulla, dato che è coinvolto anche l’aspetto etico strettamente umano.
Ecco perché ambientalisti e animalisti di tutto il mondo hanno iniziato a boicottare pesantemente l’olio di palma, e a indire petizioni (online e non) per arginare la situazione, se non proprio per fermare questi scempi quotidiani. Sì, perché, secondo le statistiche, ogni 15 minuti scompare un pezzo di foresta pluviale, con tutte le conseguenze sopra riportate.
Ora, perdonate il sarcasmo di qualche paragrafo fa, ma mi è sgorgato spontaneo, e vi spiego subito il perché. A volte mi sono trovata a dover spiegare i motivi per cui l’olio di palma andrebbe osteggiato, eticamente parlando, e l’ho fatto proprio davanti a un barattolo di Nutella (eravamo in ufficio). Una delle persone con cui ai tempi mi sono trovata a dialogare mi disse “non me ne frega niente, possono abbattere anche tutte le foreste del mondo, basta che continuino a produrre la Nutella“. Inutile dire che, davanti a questi tipi di ragionamenti, cadono le braccia (e forse anche qualcos’altro).
Il pensiero largamente diffuso secondo cui “se succede a migliaia di chilometri di distanza, allora non mi tocca” è una boiata. Se tenessimo in considerazione il “butterfly effect“, se fossimo un po’ tutti più attenti o consapevoli, a partire dalla raccolta differenziata per finire con l’olio di palma e con la diminuzione del consumo di carne, forse il nostro pianeta non starebbe correndo verso l’autodistruzione a una velocità impressionante.
Non sono nessuno per fare il pippotto a voi che mi leggete (e che magari siete già coscienziosi), né io sono per prima irreprensibile (tutti noi facciamo degli errori, lo dico sempre e ne sono fermamente convinta, quindi inutile puntare gli indici contro), però ci lamentiamo che ogni inverno è sempre più caldo, che le stagioni stanno cambiando, che gli animali si stanno estinguendo. Ci sarà un motivo, no? Poi, però, quando ci troviamo davanti alla possibilità di scegliere e, nel nostro piccolo, di cambiare le cose, facciamo spallucce e diciamo, appunto, “se succede a migliaia di chilometri di distanza, allora non mi tocca”.
Se non vi importa nulla del fatto che l’olio di palma non sia la scelta nutrizionale migliore salutisticamente parlando, allora cercate prodotti bio/ecosostenibili/equosolidali, sul cui pacchetto viene dichiarato che la coltura dell’olio contenuto non ha danneggiato gli animali e l’ambiente (qua in UK per esempio, Sainsbury’s lo dichiara dappertutto). Il massimo sarebbe consumare prodotti il cui olio di palma non venga raffinato e sia anche ecosostenibile.
Per il resto, che dire… l’articolo serviva per chiarire certi punti, che forse a qualcuno erano ancora ignoti. Come si suole dire, a una certa, fate vobis,
Alla prossima!