“Il tradimento di Alpro”: le risposte dell’azienda

Quando ho scritto l’articolo “Il tradimento di Alpro, la delusione dei vegani” non mi sarei immaginata per nulla al mondo di scatenare una specie di caso nazionale (anzi, internazionale, visto che ha coinvolto anche Alpro UK). L’avevo steso semplicemente per condividere con voi delle scoperte che avevo fatto in merito all’azienda belga e alle sue scelte di marketing, senza alcuna intenzione diffamatoria o dietrologie di sorta.
Non so precisamente per quale motivo, forse in Italia Alpro è un brand molto più amato di quanto mi aspettassi, o forse è semplicemente molto conosciuto, fatto sta che ho ricevuto migliaia di visite in una giornata sola, decine di commenti e altrettante condivisioni su alcuni forum e su Facebook. Insomma, si è scatenato un tam tam mediatico inaspettato e impressionante, tant’è che a un certo punto è accaduto l’incredibile: Alpro mi ha scritto, direttamente dall’indirizzo belga.

Abbiamo così avuto un educato scambio di e-mail, di cui ora vi renderò conto (so che siete in molti a voler sapere i dettagli della nostra “chiacchierata”).
Tanto per fare un breve riassunto, ecco i due punti da cui era scaturito il mio malcontento:
a. Alpro UK aveva caricato sul suo canale Youtube una ricetta avente per protagonista indiscusso un hamburger 100% carne di manzo;
b. grazie a questo video ho scoperto che dal 2009 al 2013 Alpro è stata legata alla Dean Foods, un’azienda specializzata nel commercio di prodotti caseari, quindi una tipologia completamente opposta a quelli venduti dall’azienda belga.

Alla luce di ciò, avevo espresso nel mio post una grande delusione, dichiarando che non avrei più comprato i prodotti di questa marca.
Molti commenti ricevuti si sono uniti al mio disappunto, altrettanti, invece, hanno ribattuto che, visto che Alpro non si è mai dichiarata un’azienda vegan, in pratica può promuovere i suoi prodotti nel modo che più preferisce, e che quindi il video dell’hamburger non sarebbe che mera pubblicità.
Senza scendere per l’ennesima volta in dettagli su quello che penso (ho lasciato decine di commenti sparsi fra blog, Facebook, varie ed eventuali), specifico solo che il mio senso di “tradimento” non era tanto legato al video dell’hamburger in sé, che avevo semmai trovato molto poco rispettoso nei confronti di noi vegani, quanto al fatto che per quattro anni ho/abbiamo in parte inconsapevolmente finanziato un’azienda che commercia prodotti a base di latte e derivati, una di quelle che l’etica vegan impone di non foraggiare.

Come dicevo, il pomeriggio successivo alla pubblicazione del mio articolo, Alpro mi ha contattata via e-mail.
Si sono detti dispiaciuti per avermi procurato una tale delusione e che, in ogni caso, non sarebbe stata loro intenzione dissuadermi dalle opinioni che mi ero fatta.
In prima battuta mi hanno così chiarito il tipo di alimentazione di cui sono fautori:

Consideriamo una delle nostre responsabilità la promozione di un’idea di dieta bilanciata, dove la presenza di alimenti d’origine vegetale possa accompagnare, e superare, gli alimenti a base di carne. Pensiamo che questa idea di alimentazione possa attrarre anche gli onnivori, i quali vedono la dieta vegetariana e vegana come troppo “estrema”. Questa è la ragione per cui promuoviamo un’idea di dieta che sia 2/3 a base vegetale ed 1/3 a base animale.

Ovviamente, quel “1/3 a base animale” (che molti mi hanno detto essere tanto, io personalmente non riesco a farmi un’idea, poiché in matematica non sono mai stata una cima) comprende anche il mega hamburger proposto nel video incriminato, quindi ecco svelato l’arcano.

Al termine di questa prima e-mail, Alpro ha dichiarato la sua completa disponibilità a rispondere ad eventuali mie domande, e, naturalmente, non mi sono lasciata scappare l’occasione.
Ho così espresso in modo più accurato il mio punto di vista sul video dell’hamburger, ribadendo che sì, avevo capito le finalità in termini di marketing, ma che, nonostante l’esigua percentuale relativa alla dieta a base di prodotti animali, non l’ho trovato in linea con l’immagine che l’azienda ha sempre dato di sé (“Enjoy plant power”). Ho spiegato che se al posto di un hamburger (non un grande simbolo di cucina “sana” o “light”) ci fosse stata un’insalata con qualche cubetto di pancetta/prosciutto, il video avrebbe avuto un minore impatto e forse, anche su YouTube, non si sarebbero tirati dietro molti commenti negativi ad opera di vegani inalberati.
L’apprezzata risposta che mi è arrivata da Alpro in merito a questa faccenda è stata la seguente:

Per quel che concerne la ricetta, ho parlato con i colleghi inglesi del marketing (il video infatti è stato postato su loro canale, il canale italiano è http://www.youtube.com/alproitalia) girando loro il tuo feedback, abbiamo insieme deciso che quella ricetta e quel piatto potrebbero non rispecchiare appieno la nostra visione 1/3 a base di carne 2/3 a base vegetale. Abbiamo deciso di rispondere ai commenti sul video in prima battuta, e di rimuovere poi il video dal nostro canale. Il nostro obiettivo è quello di avere il giusto bilanciamento fra piatti con/piatti senza carne e pesce, ragione per cui cerchiamo di avere molte ricette vegane e vegetariane.

Per come la vedo io, la rimozione del video è stata una piccola vittoria, perché ok, magari non cambierà la politica aziendale che include “1/3 a base animale”, ma è già qualcosa. Se Alpro UK ha ritenuto l’hamburger non aderente alla sua filosofia, allora significa che non abbiamo preso proprio lucciole per lanterne, penso. Sì, lo so che qualcuno adesso dirà “no, l’hanno fatto solo per accontentarvi e farvi stare zitti”. Molto probabilmente è così, ma se leggeste i commenti sotto quel video capireste che non sono stata la sola (o non siamo stati i soli, in Italia) a essermi sentita “offesa”, anzi.
Diciamo che quindi Alpro ha capito e ci è venuta incontro, ma ovviamente può significare tutto e niente, a seconda dei vari punti di vista! Dal mio è stata, ripeto, una vittoria, e sono contenta di essere riuscita a trovare un dialogo con l’azienda.

Risolta la questione del video, andiamo avanti con quello che in realtà mi aveva amareggiata, la storia della Dean Foods. Ho chiesto ad Alpro maggiori informazioni su questo assorbimento, e questa è stata la loro risposta (che potete trovare confermata anche in uno dei commenti sotto il video, da parte di Alpro UK):

Alpro fa parte di WhiteWave Foods Company (WWAV), una compagnia quotata in borsa nella borsa di New York (NYSE). A partire da Luglio 2013 Dean Foods non possiede più nessuna quota di WhiteWave-Alpro. Come Alpro, WhiteWave è principalmente impegnata nella produzione di prodotti a base vegetale.

Ok. Quindi da questa risposta, ecco tre considerazioni:

sì, dal 2009 al 2013 abbiamo dato soldi, almeno in parte (ora non so quali siano le percentuali che un’azienda “madre” chiede a quelle che va a inglobare), a un’azienda che commercia prodotti a base di latte;
Alpro, dal 2013, non ha più nulla a che fare con la Dean Foods, sarebbe quindi “pulita”;
“principalmente” non significa “esclusivamente”. Per completezza di informazioni nei vostri confronti, vi dico che ho controllato il sito della WhiteWave Foods Company e ho letto che oltre ad alcuni marchi di prodotti vegetali, tra cui Alpro (gli altri sono Silk, che qua in UK si trova al Lidl, e So Delicious - Dairy Free), ce ne sono altri che hanno a che fare con il latte vaccino (bio).

In ultima analisi, Alpro ha tenuto a specificarmi questo:

Come Alpro, siamo seriamente e sinceramente impegnati nella creazione di prodotti a base vegetale che possano essere buoni anche per il pianeta. Siamo stati la prima azienda europea ad unirci al WWF’s Climate Savers Program, un programma dedicato alle industrie che vogliono sviluppare soluzioni a basso impatto ambientale ed energetico.

E questo è sempre pregevole. Che Alpro sia coinvolta attivamente nel salvaguardare il benessere del pianeta l’ho letto decine di volte, mentre facevo colazione, sul retro dei loro cartoni, dove il discorso veniva introdotto con “Good for you, good for the planet!“, quindi non è per me una novità quello che mi hanno scritto, anzi, al massimo è una conferma (e proprio per questo, per me, un hamburger spesso 2 cm cozzava clamorosamente contro queste affermazioni).

Ho riportato tutto questo senza esprimere opinioni personali, per non influenzare i vostri pensieri, le vostre scelte. Se il post che ha scatenato tutto questo è stato visto come “uno sfogo dell’autrice del blog”, questo invece ha voluto raccogliere una serie di risposte a domande/osservazioni, certo, partite comunque da me, ma ora io mi fermo qua e lascio tutto a voi.

Mi preme comunque specificare che è abbastanza difficile (per non dire impossibile) trovare un brand che sia legato unicamente alla distribuzione di soli prodotti vegetali, o che sia interamente etico. Da una parte, è vero, i vegani boicottano le industrie che sfruttano gli animali, ma dall’altra è pur vero che la scelta perfetta non esiste e che, alla fine, il nostro fine è causare il male minore. E’ una questione di equilibri, credo.

In ogni caso, da questo episodio ho rafforzato un pensiero che ho sempre avuto, e che, di tanto in tanto, ho anche espresso: ognuno di noi è vegan in modo diverso. Alcuni di noi sono più intransigenti, altri sono più accomodanti, è davvero impossibile trovare una via che sia la stessa per tutti. Quando diciamo a qualcuno “sono vegano/a”, spesso il nostro interlocutore si mette sulla difensiva, pensando che di lì a poco lo inchioderemo alla croce con le nostre argomentazioni, perché i vegani hanno la fama universale di essere particolarmente rigidi con chiunque non la pensi come loro. La verità è che non si può essere certi su cosa aspettarsi, e me lo hanno testimoniato i commenti che ho letto in questi giorni. Non è per il fatto che siamo vegani che pensiamo e agiamo tutti allo stesso modo. Non boicottiamo questa o quell’azienda per le stesse motivazioni, o attenendoci agli stessi canoni. Ognuno di noi fa i conti con la propria etica, con le proprie possibilità economiche, con il luogo in cui vive, con le persone con cui condivide la propria casa, e con altre decine di parametri.

Alpro sì, Alpro no?
Decidetelo in base ai vostri parametri, io, ovviamente, deciderò in base ai miei ;)

Spero di esservi stata utile, e come sempre…

Alla prossima!

3 thoughts on ““Il tradimento di Alpro”: le risposte dell’azienda

  1. Buongiorno Jules,
    spero che tu legga queste poche righe perchè trovo interessante il tuo parere e vorrei sapere come ti poni di fronte a tutti quei prodotti che non espongono tra i loro ingredienti la dicitura “non OGM”.
    Vedi, io ho delle bimbe piccole, e se questo problema non mi aveva mai sfiorato fino ad ora… oggi sì! …e non riesco più a comprare un sacco di cose. Cereali per la colazione, per esempio, dei famosi Alpro, solo il Soia Bio è certificato non OGM, e gli altri? Cosa ci beviamo???
    Insomma, se volessi cortesemente darmi un parere, mi aiuteresti a capire meglio questo mondo enorme e ad essere consapevole senza paura…
    Cosa mi dici?

  2. Ciao Silvia!
    Allora, la questione in effetti è delicata, e me la sono posta anche io. In realtà tutta la linea Alpro riporta sul retro delle confezioni “non OGM” (per lo meno qua la vedo scritta, ma il packaging dovrebbe essere lo stesso anche in Italia), e infatti questo è il motivo per cui per molto tempo ho continuato a comprare solo Alpro qua in UK. Ci sono altri latti piú buoni e meno costosi, che peró non riportano la dicitura. Tra questi, anche quelli dei supermercati.
    Avevo sollevato la questione con un mio amico, e dato che frequentiamo entrambi gruppi vegan made in UK su Facebook, abbiamo cercato se in questi gruppi qualcun altro avesse avuto lo stesso pensiero. E l’abbiamo trovato! A quanto pare questa persona ha detto di aver telefonato al servizio clienti del produttore e chiesto informazioni sulla questione OGM. La risposta è stata che non è obbligatorio riportare la dicitura sulle etichette se il prodotto NON è OGM, mentre invece lo indicano se lo è. Questo, a quel che ricordo, è anche il “metodo americano”, nel senso che anche Oltreoceano adottano questo sistema (lo avevo letto in un articolo tempo fa). È un metodo che a me lascia abbastanza perplessa, perché secondo me dovrebbe avvenire l’inverso, ma se le cose stanno cosí, ecco spiegato il motivo per cui sulle etichette non trovi indicazioni.
    Noi italiani siamo un po’ piú paranoici sulla storia delle etichette, nel senso che da quando è scoppiato il trend del bio molta gente si sente rassicurata solo se legge che un prodotto è questo o quello, ma magari poi secondo le norme europee non è obbligatorio riportarlo. A riprova di ció ci sono stati casi di aziende che ci hanno marciato, millantando “bio”, dove di bio non c’era nulla, ma intanto cosí si accaparravano consumatori ipsersensibili e un po’ creduloni (diciamocelo).
    Le cose stanno quindi cosí, soprattutto per quanto riguarda aziende estere, che si adeguano alle norme europee e non specificamente al mercato italiano. Quello che ti consiglio, se vuoi stare piú tranquilla, è di contattare per telefono il servizio consumatori e chiedere informazioni a loro, almeno per i marchi che ti stanno piú a cuore. Poi potrai regolarti di conseguenza ;)

    Spero di esserti stata utile!
    A presto!

    1. Sì davvero, grazie!!
      In realtà è la soluzione migliore quella di rivolgersi direttamente alle aziende.
      Avevo seguito delle ricerche fatte da Altroconsumo in merito, devo dire che mi sento molto ignorante su questo versante..
      Mi informerò!!

      Grazie ancora!
      Silvia.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>