Il “bio”? Una moda tra pro e contro

Ciao a tutti e bentornati da queste parti!
Chi è già vegetariano, vegano o ambientalista avrà ormai da tempo familiarità con il tema di oggi, ossia i cosiddetti prodotti “bio”, dove la parola in questione indicherebbe “biologico”. Le cose stanno diversamente per chi invece non si è mai accostato a questo tipo di alimenti, che negli ultimi anni stanno crescendo in popolarità, disponibilità e vendite.

Fino a una decina d’anni fa il “bio” non dico non esistesse, ma era molto di nicchia. Quando si parlava di “bio” si rimaneva straniti, vuoi per mancanza di informazioni in merito, vuoi per scarsa sponsorizzazione del genere stesso.
Fino a cinque anni fa, invece, se si volevano le carote o la carne biologiche ci si doveva recare da Naturasì, o in qualsiasi negozio di alimentari specializzato in questa categoria di cibi.
Oggi le cose sono ulteriormente cambiate, l’informazione viaggia più veloce e si espande a macchia d’olio, perciò quello che prima era di pochi, adesso è di tutti: è sufficiente andare al supermercato di fiducia (che può essere l’Esselunga, il Carrefour, la Coop, come anche il Lidl o il Penny Market) per acquistare tutti i prodotti bio che si vogliono.
Il consumatore medio che va a fare la spesa, quando si dice “bio”, sa davvero di cosa si parla?
Come dicevo prima, “bio” sta per “biologico“. Ma cosa significa?
Nel caso dei vegetali, significa che l’agricoltura da cui essi provengono utilizza metodi e tecniche il più naturali possibili: no ai pesticidi, no all’OGM, no a qualsiasi tipo di trattamento che possa rendere nocive frutta e verdura, o alterarne le proprietà e il gusto.
Nel caso della carne, del latte e delle uova, significa che gli allevamenti dovrebbero garantire maggior benessere fisico e psicologico all’animale, minor stress nei suoi riguardi e mangimi che siano di prima qualità anziché infima (ad esempio la famosa soia OGM), in modo da rendere migliore il prodotto finale.
In generale, qualsiasi cibo riporti sull’etichetta il marchio “bio” dovrebbe essere stato sottoposto a controlli ancora più rigorosi della norma sulla qualità, e quindi contenere ingredienti di prima scelta e non trattati, per non parlare della nulla presenza di conservanti, coloranti e aromi artificiali.
Tutto questo viene semplicemente tradotto in un prezzo molto più alto rispetto ai prodotti “normali” che troviamo su scaffali e banconi al supermercato.
Eppure molte persone ignorano tutto questo e comprano “bio” perché è la moda alimentare del momento“, non perché siano realmente consapevoli di ciò che stanno acquistando.
In Italia la questione è molto sentita, sia in fatto di cibo che di cosmesi, ma, come dicevo, spesso si tratta più di una tendenza che di un consumo critico, una tendenza che, tra l’altro, non tutti possono permettersi. Visti i tempi di crisi, una persona con un budget limitato per la propria spesa difficilmente preferirà spendere una cifra importante per un singolo prodotto quando, con diversi euro in meno, può portarsene a casa tre. Come se non bastasse, si devono tenere gli occhi aperti!
Proprio sfruttando questa moda del “bio”, consci di poter vendere a un prezzo maggiore, alcuni produttori hanno falsificato le etichette dei propri alimenti, spacciandoli per bio, quando in realtà erano addirittura OGM. Per fortuna in breve tempo sono stati smascherati, ma questo dovrebbe insegnarci che comprare a occhi chiusi, senza prima informarci, può portar danni (al portafogli e alla salute).
Un fatto positivo che personalmente ho riscontrato è che, essendo il “bio” considerato sinonimo di “sano” e spesso di “vegetariano”, in molti supermercati i reparti per chi non mangia carne si sono ampliati e oggi la scelta è maggiore rispetto a qualche anno fa.
E voi come vedete il “bio”? Una moda o un consumo critico utile all’ecosostenibilità?
Alla prossima!

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