Una delle cose che mi fa più riflettere in generale, e per la quale mi sono sentita spesso in colpa in qualità di vegana, è andare a mangiare in ristoranti che ok, magari hanno opzioni vegan, ma sempre ristoranti “standard” restano. In questo modo, i soldi che elargisco per mangiare un hamburger di ceci e quinoa, o una pizza con mozzarella di riso, andranno comunque a finanziare un business che spenderà quei soldi per comprare carne, pesce, latte, formaggi e uova per realizzare il resto del menù e accontentare i clienti che vegani non sono.
In molti mi hanno detto che mi facevo troppe paranoie, perché questo discorso allora varrebbe anche per qualsiasi brand e supermercato dai quali acquisto prodotti vegani, ma la cui filosofia di base non è certo l’etica o il cruelty free. Alla fine sono giunta a un compromesso con la mia coscienza, e ho concordato che sì, bisogna cercare di sopravvivere come più si può, in attesa di un cambiamento che porti alla nascita di più ristoranti completamente vegani e meno “sensi di colpa”.
Ma cosa succede quando un ristorante vegano ospita anche piatti a base di carne?
E’ il caso del primo ristorante vegano di Alessandria, il Bioritmo, gestito da Silvia e Carlo, che si sono imbarcati con entusiasmo in questa nuova avventura. Lei in cucina, lui in cassa, i due gestori affermano di tenere molto alla freschezza e alla provenienza degli ingredienti, nonché alla cura nella preparazione dei piatti. Sembrerebbe tutto meraviglioso per i vegani di Alessandria e dintorni, eppure c’è qualcosa che ha lasciato molti perplessi: il ristorante include nel menù anche piatti di carne. Certo, non saranno la maggioranza, e i vegani che si recano al Bioritmo non avranno bisogno di specificare che vogliono “la versione vegan” di questo o quello, però ci sono. E la domanda sorge spontanea: perché?
Personalmente, capisco perfettamente il ragionamento a monte, che potrebbe essere riassunto nel non voler correre il rischio di incappare in un fallimento. Perché sì, siamo nel 2017 e ormai il veganismo non è più una corrente di nicchia, ma una solida e quotidiana realtà per molti, ma in certe zone - soprattutto fuori dalle grandi città - un business del genere potrebbe rivelarsi ancora un azzardo. Avere piatti che includono la carne, quindi, sarebbe meno discriminatorio, come suggeriscono i due proprietari, e meno rischioso, aggiungo io. Però, di nuovo, siamo nel 2017, non nel 1970…
Il punto è che, stando così le cose, quello che dicevo nell’incipit dell’articolo, allora permane. Mi sta bene che si usino padelle, piatti e taglieri diversi per cucinare i due tipi di cibi (vegetali e carne), ma alla fine della giornata i miei soldi andranno sempre a finanziare un ristorante che comprerà, seppur in quantità ridotta, dei prodotti animali. Nonostante comprenda appieno le ragioni che hanno portato Silvia e Carlo a questa scelta, trovo che ci sia una certa incoerenza di fondo, che è legata unicamente a un problema di definizione: non puoi chiamare vegano qualcosa che non lo è.
Chi mangia anche il pesce, per esempio, non può essere definito vegetariano. E chi mangia anche formaggi o uova, non è vegano. Se mi presentassi a un gruppo di sconosciuti dichiarando di essere vegana, e dopo dieci minuti mi vedessero mangiare un panino al prosciutto, immagino desterei più di una perplessità, e genererei sicuramente confusione.
Capisco anche che una persona, o un ristorante in questo caso, che al 95% è vegano, trovi difficile catalogarsi completamente come “onnivoro”, perché la filosofia alla base è un’altra. E certo non potrebbe essere conveniente chiamarsi “a orientamento vegano” oppure “ristorante 95% vegano”.
Insomma, ripeto, capisco le buone intenzioni e le criticità alla base, capisco i rischi e tutto il resto, ma prevedo che Bioritmo non sarà accettato completamente dalla frangia vegana media (non parlo neppure degli estremisti, parlo proprio di fascia media). Anche perché, detto fuori dai denti, viste le scelte, in molti potrebbero considerarlo solo l’ennesimo tentativo di cavalcare il trend degli ultimi anni, cosa che lascerebbe ulteriormente perplessi se così fosse.
Quello che auguro di cuore ai due proprietari è semmai che il ristorante riscuota un successo così grande da portarli all’eliminazione del paracadute “piatti di carne”, così da diventare un ristorante vegano 100%.
E voi, altri vegani, cosa ne pensate di tutto questo?
Alla prossima!